Il Tribunale di Milano con la sentenza 11 febbraio 2022 ha riconosciuto l’infortunio sul lavoro ad una impiegata amministrativa di un ospedale.
L’infezione da COVID-19 viene qualificata come malattia comune se il virus è stato contratto al di fuori del contesto di lavoro mentre viene considerato infortunio se il contagio è avvenuto nell’ambito dell’attività lavorativa. Sin dai primi provvedimenti, il legislatore ha garantito tutele a favore di tutti i dipendenti che si sono contagiati sul luogo di lavoro. L’INAIL ha individuato delle categorie di lavoratori per i quali, in caso di contagio, si può applicare una presunzione semplice con riferimento all’origine lavorativa del contagio. Secondo l’istituto, in questa categoria rientrano, innanzitutto, «gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio». Sono compresi poi ulteriori lavoratori, addetti a mansioni «che comportano un costante contatto con il pubblico/l’utenza». Si pensi ad esempio ai lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alla vendita o banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto. L’INAIL assicura tutela al lavoratore risultato positivo al test e posto in quarantena o in isolamento domiciliare. In tal caso l’infortunio copre l’intero periodo di quarantena e quello eventualmente successivo dovuto a prolungamento di malattia che determini una inabilità temporanea assoluta al lavoro.
Il Tribunale di Milano con la sentenza 11 febbraio 2022 ha riconosciuto l’infortunio sul lavoro ai sensi dell’art. 2, D.P.R. n. 1124/1965 ad una impiegata amministrativa di un ospedale, ritenendo più che probabile che il contagio abbia avuto origine professionale. Le mansioni svolte, nell’ambiente di lavoro, consentono di collocare la lavoratrice nell’ambito del personale non sanitario operante all’interno della struttura ospedaliera per il quale il rischio di contagio deve ritenersi aggravato, con conseguente tutela ai sensi dell’art. 42, comma 2, D.L. n. 18/2020. L’assistente amministrativa veniva assegnata all’ufficio che gestisce le diverse cartelle cliniche dei pazienti affette da Covid-19 e sostiene che l’assegnazione sia avvenuta senza l’adozione di misure organizzative idonee a ridurre il rischio di contagio, né con riferimento alla pulizia e alla sanificazione degli ambienti. Pertanto l’assenza dovuta alla contrazione del virus deve essere riconosciuta come infortunio sul lavoro. Di diverso avviso è l’INAIL, il quale, sulla base dell’istruttoria effettuata, nega il riconoscimento dell’infortunio sul lavoro in quanto l’impiegata aveva avuto contatti solo con utenti interni e con l’utilizzo dei dpi. La Suprema Corte ha chiarito che l’occasione di lavoro ricomprende tutte le condizioni, incluse quelle ambientali e socio-economiche in cui l’attività lavorativa si svolge e nelle quali è insito un rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che tale danno provenga dall’apparato produttivo o dipenda da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore, con il solo limite, in questo caso, del c.d. rischio elettivo (Cass. 05/01/2015, n. 6). Sul piano della sicurezza, i locali non erano adeguatamente arieggiati o gestiti, a livello di ambienti e di spazi di lavoro, con modalità tali da ridurre il rischio di contagio; non venivano altresì contingentati gli accessi presso gli uffici e non venivano svolte le sanificazioni specifiche ma solamente la pulizia ordinaria
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